Spreco alimentare, che impatto ha sul consumo energetico?

In Italia, ogni cittadino getta in media 30,3 grammi di frutta alla settimana, 26,4 grammi di insalata e 22,8 grammi di pane fresco. La quantità enorme di produzione agricola e alimentare che marcisce in campo o in discarica, dopo essere stata lavorata, non è solo un problema etico e sociale. Serve infatti un’enorme quantità di energia per produrre, distribuire e cuocere alimenti, che nonostante siano ancora commestibili, diventano fin dall’origine un surplus inutilizzato. Lo spreco alimentare è di conseguenza anche spreco energetico. E secondo lo Studio effettuato dall’Università di Bologna, in collaborazione con ENEA, il 3% del consumo energetico dipende dallo spreco alimentare.

Lo spreco di energia derivante dal cibo buttato vale 4,02 miliardi euro

Lo spreco di energia derivante dal cibo sprecato in Italia vale 4,02 miliardi euro. Un costo che porta a circa 11 miliardi euro complessivi il valore dello spreco alimentare domestico, sulla base di un costo dell’energia elettrica di 0,4151 euro/kWh. Il 3,2% della produzione agricola totale rimane a marcire sul campo: 1,5 milioni di tonnellate di alimenti che per arrivare a maturazione hanno consumato la stessa quantità di energia che potrebbe riscaldare 400mila appartamenti ad alta efficienza. Questi rifiuti alimentari finiscono poi nelle discariche a marcire, rilasciando gas serra (GHG). E se a questo si combina la quantità di energia necessaria per raccogliere, produrre, trasportare e conservare questo cibo, si arriva a 3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. 

L’It può contribuire a razionalizzare la produzione agricola e alimentare

Se lo spreco di cibo fosse un paese sarebbe il terzo più grande emettitore di gas serra nel mondo, dopo Stati Uniti e Cina. Uno dei rimedi è dato dalle nuove tecnologie per il settore dell’agricoltura (agricoltura di precisione, biologica, produzione locale), ma anche dalla valorizzazione degli scarti agricoli e alimentari per il recupero energetico (energia da biomasse). L’It, in particolare, può contribuire alla razionalizzazione delle produzioni agricole e alimentari, soprattutto quando si tratta di rendere più efficienti i processi di produzione e trasformazione, e assecondare la variabilità della domanda grazie alla raccolta e all’elaborazione in tempo reale delle informazioni.

Una soluzione arriva dal biometano

Il biometano deriva dal trattamento del biogas prodotto dai residui dei raccolti agricoli, dalla fermentazione di letame, scarti alimentari, erba e foglie. Si tratta di una vera e propria fonte di energie rinnovabili, che sfrutta la degradazione di materiali che se lasciati nell’ambiente o nei campi libererebbero gas serra nell’atmosfera. È un tema centrale dell’economia circolare, poiché riveste un ruolo chiave anche nella soluzione del problema relativo allo smaltimento dei rifiuti. Recentemente, la Commissione europea ha approvato 4,5 miliardi di finanziamenti all’Italia per sostenere la produzione di biometano. La misura rientra nella strategia per ridurre la dipendenza dal gas russo e aumentare la quota di energia rinnovabile nel mix energetico. Il biometano rappresenta infatti l’unico biocarburante 100% Made in Italy, e potrebbe essere determinante soprattutto per il settore dei trasporti.